Questa mattina, prima di metter mano alla penna ed iniziare l’articolo su Claudio Spattini ed il suo essere meravigliosamente eclettico, ho dato un’ulteriore occhiata al volume di Arturo Carlo Quintavalle a lui dedicato, dove dice: “la sua è una delle pitture più stimolanti della pittura italiana”, che raccoglie un certo numero di opere selezionate. L’artista, che ho conosciuto in vita, era altero ma gentile al tempo stesso; di lui ricordo i modi educati e l’ironia. Spattini dipinge senza sosta: dagli anni Trenta in avanti non lascia mai il suo pennello, pertanto le sue opere sono numerosissime. Entrare nel suo studio in Strada Felice Cavallotti a Parma significa rimanere increduli per la quantità e la qualità delle tele, ma proprio la massa ne limita la visibilità: appese al muro ve n’è una percentuale esigua. Conoscevo qualche suo quadro dal vero, poiché il figlio Massimo ne tiene affissi alcuni alle pareti del suo studio. Quasi certamente, secondo la teoria di Andy Warhol, la ripetizione costante e massiccia di un’immagine rende quest’ultima invisibile; vedere quindi, ogni giorno per tanti anni, sempre le stesse opere, le ha rese ai miei occhi quasi trasparenti.
Ovviamente godevo di queste immagini che, oltre a donare valore al luogo, lo rendono qualcosa di diverso e di piacevole poiché la bellezza dovrebbe dimorare ovunque, anche sul posto di lavoro. Stamane, tuttavia, confesso che nel vedere quei quadri nel volume a lui dedicato, uno dietro l’altro, uno più incantevole dell’altro—differenti per soggetti, per stili, per uso del colore, della luce, del bianco e nero, della matita piuttosto che dell’acquerello; tutti eccelsi in quanto a destrezza—rivelano un’abilità e un talento che pochi possiedono: un fuoriclasse della pittura. Ad un certo punto, sempre più eccitata, col cuore che batteva più forte a ogni pagina, ho dovuto chiudere il libro e fare i conti con la spiacevole sensazione di sconforto per non potermi permettere di possedere tutte quelle opere.
“Uno, nessuno centomila” – Luigi Pirandello
Il titolo del famoso romanzo di Pirandello significa in sostanza che tutti noi possediamo centomila personalità e ci adattiamo mutando noi stessi in conformità della persona con la quale ci relazioniamo. Solitamente ogni individuo sceglie, più o meno consapevolmente, un’identità specifica e cerca affannosamente di rimanervi coerente poiché teme ciò che di sé non conosce. L’ignoto fa paura, ma c’è.
Questo vale per la stragrande maggioranza di noi; Claudio Spattini, al contrario, accoglie con consapevolezza ogni sfaccettatura della sua natura e le disvela senza timore, senza pudore, sulle tele, sui disegni o sugli acquerelli. L’eclettismo di Spattini spazia fra paesaggi, ritratti, nature morte, eseguite perfettamente con diverse tecniche di pittura. Addirittura le caricature, che rappresentavano per lui un passatempo, gli riuscivano oltremodo facili eppure non è così immediato delineare perfettamente i tratti somatici che rendono unico e riconoscibile il soggetto. Un foglio bianco, una matita, tre segni, due minuti: un’opera.
Spattini decide di svincolarsi da ogni corrente dell’epoca, barattando la fama per la libertà di espressione. Ed è proprio questa indipendenza totale a permettergli di dare vita ad ognuna delle sue personalità: la libertà assoluta lo rende fortemente eclettico e molto difficilmente incasellabile. In fondo, l’unica definizione accettabile sembra essere: Claudio Spattini, l’eclettico.
Il colore e le varie tecniche di cui l’artista fa uso certamente spiccano fra le sue opere, ma tutte quelle eseguite con tinte più tenui o in bianco e nero raccontano qualcosa di quel momento della vita dell’autore, forse un frammento più cupo che egli, come sempre, confida alla sua tela. Si rimane sorpresi quando, improvvisamente, dopo innumerevoli paesaggi e nature morte, ci si trova davanti ai nudi: talvolta leggermente composti, il più delle volte decisamente sfacciati. E anche i nudi, eseguiti con diverse tecniche—più spesso acquerelli—finitiscono inesorabilmente nello stesso luogo: la tela.
Infine, se per il protagonista del romanzo di Pirandello rendersi conto di possedere centomila identità lo induce alla conclusione che essere centomila significa essere nessuno, al contrario per Claudio Spattini queste innumerevoli identità lo portano ad essere TUTTO.