Bombardamenti e razzi: l’intensificarsi del conflitto in Libano e Israele
Un clima di conflitto e incertezze travolge la regione, con bombardamenti incessanti su Beirut e attacchi di razzi su Haifa. Le tensioni tra Hezbollah e le forze israeliane non sembrano conoscere fine, ma proprio nel bel mezzo di questa spirale di violenze, emerge la notizia di una tregua. Un accordo, inizialmente fissato per durare due mesi, pronto per entrare in vigore. Ma cosa significa realmente? La tregua è stata accettata da entrambe le parti, ma nessuna delle due sembra voler dichiarare vittoria. In un contesto così teso, le domande si aggrappano alla mente di molti.
Hezbollah si trova in una posizione delicata e complicata. Da quando è scoppiato il conflitto a sostegno di Hamas, dopo gli eventi terribili del 7 ottobre, il gruppo libanese ha trascinato il proprio paese in una guerra devastante. Le perdite sono state pesanti, sia sul fronte umano che economico. Ora, i leader di Hezbollah si trovano costretti a giustificare ai loro cittadini la decisione di fare un passo indietro, risultando sostanzialmente abbandonati i palestinesi nel loro orribile destino. Anche i militanti di Hamas si sentono traditi, un sentimento di impotenza che serpeggia tra le file di coloro che avevano puntato su un sostegno congiunto.
In questo contesto, il premier israeliano Netanyahu ha deciso di rispondere militarmente, ordinando un’operazione nel Libano meridionale con l’obiettivo di distruggere le infrastrutture militari di Hezbollah. Eppure, nonostante gli sforzi, Netanyahu deve ora affrontare il fatto che circa 100.000 israeliani, sfollati e spaventati, non possono rientrare nelle loro abitazioni in sicurezza. Mentre in Gaza l’attenzione si concentra su una “vittoria totale”, il primo ministro deve spiegare perché in Libano ci si accontenta di una tregua precaria, con la speranza che la situazione si stabilizzi prima dell’ingresso di Trump alla Casa Bianca. C’è molta pressione su di lui per trovare una soluzione.
I calcoli strategici di Netanyahu
Nel suo recente discorso alla nazione, Netanyahu ha delineato i motivi alla base del supporto alla tregua. La necessità di focalizzarsi sulla minaccia iraniana, una pausa per le forze armate, e la volontà di isolare Hamas hanno rappresentato i punti cardine delle sue argomentazioni. Israele ha inflitto colpi significativi a Hezbollah, tanto che il gruppo, secondo il premier, è tornato indietro di decenni. Queste dichiarazioni mascherano però una realtà complessa saturata da tensioni persistenti.
Netanyahu ha messo in guardia Hezbollah, affermando che un’eventuale violazione della tregua non sarà tollerata e che Israele avrà “piena libertà di azione” in Libano. Ma la situazione non è così semplice. Dall’altra parte, Hezbollah ha già visto le sue file decimate, compreso il loro leader, e ora sono motivati a difendere i loro interessi strategici. Per loro, accettare una “pausa tattica” diventa una necessità, ma non senza mantenere una certa capacità di deterrenza. Il limbo instaurato dall’accordo di tregua non offre però certezze, e ogni lato sembra preparato a mantenere le proprie armi pronte, giusto nel caso la situazione dovesse evolvere in un’altra conflitto.
Le nuove dinamiche nel sud del Libano
L’intesa raggiunta prevede che l’area lungo il confine israeliano e il fiume Litani venga presidiata dall’esercito libanese e dalle forze delle Nazioni Unite, ovvero i Caschi Blu dell’Unifil. Ma Hezbollah non perde tempo a sottolineare che questa potrebbe essere una soluzione precaria. Secondo le loro affermazioni, mantengono ancora la possibilità di colpire se Israele decidesse di lanciare nuovi attacchi. Le carte, quindi, sono sul tavolo e entrambe le parti osservano attentamente, pronti a reagire. Le tensioni permanenti in questa zona fragile fanno trasparire l’idea che il conflitto potrebbe riprendere in qualsiasi momento.
Tuttavia, per Netanyahu, la tregua in Libano potrebbe anche rappresentare un’opportunità per avviare negoziati su Gaza, mirando così al rilascio di ostaggi. Ma la posizione di alcuni membri del suo governo, come il ministro delle finanze Bezalel Smotrich, suggerisce un’idea diversa. Questo politico di destra ha affermato che una presenza militare permanente nella Striscia di Gaza possa diventare una realtà. Con un tono provocatorio ha detto che è possibile conquistare la striscia, suggerendo persino la necessità di incoraggiare l’emigrazione volontaria dei palestinesi. L’atmosfera si fa sempre più complicata, rivelando le molteplici sfide che attendono la regione.